Pannelli Sociali

Per una sociologia agita ed agente

Smart Working: tra paura del cambiamento e pigrizia ad accedere a nuove skills

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Ho già avuto modo di evidenziare il fatto che i sistemi sociali, nella ridefinizione odierna di spazi e tempi, hanno in maniera repentina aumentato la stessa velocità sistemica. Questo processo, dovuto principalmente allo sviluppo di nuovi modi del comunicare, ad iniziare dalla CMC (Comunicazione Mediata dal Computer), ha indotto ed induce l’intero sistema a modifiche sostanziali in differenti versanti dell’agire sociale, tenendo sempre a mente che, le modifiche dei mezzi di comunicazione producono ed inducono anche a modifiche comportamentali anche sul versante degli atteggiamenti.

Di certo, questa trasformazione sistemica è stata indotta da un ambiente che si è arricchito, incrementandone ulteriormente la complessità, di stimoli ed opportunità che portano in seno il germe del rischio, nel senso che ogni opportunità è in sé rischiosa e, chiamando in causa una selezione, rimanda pure ad un sistema di competenze. Il Sistema in pratica attinge dal suo Ambiente, in un mare di opportunità accresciute, presupponendo un assetto funzionale che chiama in causa competenze funzionali ad uno scopo.

Ovviamente, questa accelerazione, rischia di rendere offuscati i dettagli a favore di uno sguardo orientato ad un insieme.

Ora, se da diversi anni si lamentano eccessive lentezze, soprattutto da parte degli apparati buro-corporativi in funzione anche di risposte pretese, occorre far notare che, l’emergenza dovuta al COVID-19  emergenza che ha ridefinito, anche a livello prossemico, spazi e tempi sia nei rapporti personali che professionali, datondosi di stimoli per far fronte a tali lentezze.

La recente pandemia, ha imposto il distanziamento tra persone accelerando il ricorso a nuovi mezzi. Lo smart working, o meglio detto “Lavoro agile”, normato dalla Legge 81/2017 è stato imposto in diversi ambiti lavorativi, sia per quanto attiene le Pubbliche Amministrazioni che le Imprese private, ma il tutto avviene in maniera improvvisata ed in funzione di un fatto emergente. Non vi è, per lo meno in Italia, un approccio sistematico e che coinvolga le varie infrastrutture e che possa far pensare a nuove modalità di approccio al lavoro.

Per quanto vi siano resistenze varie ad un suddetto avanzamento, dovuto a diversi fattori, ad un occhio disincantato si pone all’evidenza la necessità di digitalizzare il sistema e di creare infrastrutture adeguate allo scopo. Di certo, una sana diffidenza, nel momento in cui si avanzano certe modifiche strutturali e che investono nuovi mezzi di comunicazione, è comprensibile e pure salutare se non è nutrita da pregiudizi o assurdi negazionismi retorici. Ricercare soluzioni ai problemi emergenti, implicitamente ci indirizza verso un agire dotato di senso. Il primo scoglio in cui ci si imbatte è di origine culturale, occorre infatti, per ricevere modifiche anche verso un nuovo approccio al mondo del lavoro, mutare la filosofia manageriale con cui si guarda al mondo del lavoro stesso. Bisogna ancora distinguere, lo smart working dal TeleLavoro. Quest’ultimo è infatti previsto da una sua propria definizione in ambito lavorativo, con contratti di lavoro appositi e che prevedono si indichi: “.. quale sia la sede lavorativa del dipendente, in regola con le norme igieniche ed ergonomiche per garantire la salute del lavoratore. Quindi, anche a casa, chi fa del telelavoro dovrà, per esempio, avere una sedia adeguata, una corretta illuminazione naturale ed artificiale: non basta la scrivania messa nell’angolo del soggiorno.” Per lo smart working invece, l’intento è quello di raggiungere l’obiettivo lavorando su una logica progettuale. Contrariamente quindi a quanto avviene con il Tele Lavoro, nello smart working non è fondamentale svolgere il lavoro da casa, quanto invece raggiungere, comunque, determinati obiettivi lavorativi. ll lavoratore ha così più autonomia, maggiore responsabilità e può mettere a frutto le proprie abilità in modo più creativo e questo si accompagna, molto spesso, ad una flessibilità che rende appetibile non doversi necessariamente recare a orari fissi in ufficio o sul luogo di lavoro.

Ora sarebbe interessante valutare, in base ai dati, chi già prima del COVID-19 e dipendente da varie aziende, usava lo smart working. I dati ce li fornisce Eurostat (Istituto statistico europeo) mettendo in evidenza, come riportato nel grafico qui sotto, che l’Italia nel contesto europeo si classifica terz’ultima, con il 3,6% dei lavoratori dipendenti che pratica questo tipo di modalità lavorativa. Mentre ai primi posti troviamo Paesi Bassi, Islanda e Lussemburgo. Questo dimostra che, certe modalità lavorative non fanno parte, anche culturalmente, del nostro sistema sociale.

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Eppure, la dematerializzazione del cartaceo, le modalità di pagamento o di ricevimento e/o produzione di documentazione, oltre ad un diverso approccio in diversi ambiti di lavoro, ci fanno intuire, soprattutto dopo le costrizioni cui ci ha spinti la recente pandemia, che vi sono notevoli vantaggi, sia sotto un profilo ambientale ed ecologico, sia sotto un profilo burocratico e funzionale sia in ambiti lavorativi che in ambiti amministrativi.

Le grandi imprese sono quelle che per prime si sono mosse in questa direzione, mentre le pubbliche amministrazioni (PA), sono quelle che si aprono per ultime a questi nuovi orizzonti. Alcuni vantaggi possiamo elencarli e sono vantaggi che hanno da subito suscitato gli interessi delle grandi imprese:

  • Miglior condivisione di informazioni e collaborazione

  • Accesso a documenti, informazioni e processi ovunque e in qualsiasi momento

  • Comunicazione ed interazione più rapida, sia internamente, che con clienti, fornitori e partner

  • Monitoraggio in real time di tempistiche, prese in carico, stati di avanzamento delle attività

  • Processi definiti, controllati, standardizzati

  • Eliminazione ridondanze operative

  • Digitalizzazione del lavoro quotidiano, che rende lo svolgimento delle attività indipendente dal cartaceo

  • Pieno controllo sulle autorizzazioni e gli accessi

  • Integrazione con il resto del sistema informativo

Le PA stentano invece a decollare da questo punto di vista per una serie di motivi, non ultimo dei quali parrebbe dovuto anche ad una certa pigrizia mentale dovuta al fatto che, l’acquisizione di nuovi strumenti di comunicazione presupporrebbe dei percorsi formativi atti al conseguimento di ulteriori competenze sull’uso appropriato di certi nuovi mezzi.

Vediamo allora, attraverso il grafico qui sotto proposto, come nell’ultimo anno alcune grandi imprese hanno adottato queste nuove modalità di “lavoro agile” e quali sono le aspettative per il futuro tenendo conto di diversi fattori:

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Proviamo a vedere il raffronto, tra il 2018 ed il 2019, prima quindi della pandemia, tra Grandi Imprese (GI) Piccole e Medie Imprese (PMI) e le Pubbliche Amministrazioni (PA) e come questi ambiti, in una logica di previsione e strutturale, quindi non dettata dall’emergenza e dalla contingenza, abbiano volto lo sguardo verso nuovi scenari.

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Smart-working-dati1 Smart Working: tra paura del cambiamento e pigrizia ad accedere a nuove skills

 

 

Come si vede, la lungimiranza in tempi non sospetti è soprattutto dovuta alle grandi imprese, forse per il raggiungimento, come obiettivo cardine, di un più alto grado di efficienza e di produttività. Mentre le PA sono, rispetto a queste, ancora molto indietro.

Eppure sentiamo spesso ripetere che le lungaggini burocratiche sono tra i problemi che attanagliano la vita amministrativa, oltre a code estenuanti cui viene costretta l’utenza, magari solo per ritirare un documento o pagare un bollettino che, romanticamente ci ostiniamo a volere cartaceo. Di certo, le abitudini sono difficili da superare, anche nel momento in cui i vantaggi che conseguirebbero a certi cambi sono immediatamente visibili.

Con l’avvento del COVID-19 vi è però stato un repentino cambio che, non può non far supporre cambiamenti sotto certi aspetti e che predispongono i sistemi a guardare oltre l’ovvio acquisendo ulteriori competenze funzionali ad un sistema mutato nel modo di comunicare. Se infatti lo scorso anno in Italia coloro i quali ricorrevano alla modalità in smart working per il lavoro, secondo il Ministero del Lavoro erano 221.175 persone, in questo periodo di pandemia, le persone che hanno lavorato in smart working con rilevazioni fatte al 30 aprile 2020 sono state 1.606.617. Di tutto ciò, sarebbe interessante anche una descrizione narrativa del fenomeno.

Ora, se si parla di digitalizzazione del sistema, dovuta ai nuovi mezzi di comunicazione, non posso non fare cenno alle infrastrutture funzionali a questo tipo di sistema ed in questo frangente, non posso non menzionare il 5G, tanto evocato quanto inviso. Ora, è chiaro che noi non si debba prendere ogni innovazione come benefica tout court, ma neppure si deve, in maniera pregiudiziale respingerle. Come spiega Daniela Rao, senior research and consulting director di IDC Italia: «Nei prossimi due o tre anni, per portare i servizi broadband a tutti, le reti fisse ultra-broadband e le mobili 4G e 5G coesisteranno, diventando complementari una dell’altra, per garantire continuità e affidabilità su porzioni di territorio sempre più ampie. In questo contesto, vedremo svilupparsi i servizi FWA (fixed wireless access), che utilizzano la tecnologia radio per portare la banda larga, dove la fibra non arriva o non è un investimento percorribile. Infatti, nelle aree non ancora coperte da infrastrutture che permettono connessioni a un gigabit/secondo in download, la complementarietà tra mobile e FWA avrà un ruolo cruciale, coniugando la performance di rete della fibra, con la facilità di installazione delle reti mobili nei centri urbani di piccole e medie dimensioni. Il 5G, avendo l’obiettivo di fornire capacità da 10 a 100 volte superiori il 4G – continua Daniela Rao – potrà abilitare FWA più performanti, in grado di fornire ai clienti più bassa latenza e maggiore capacità, permettendo una estesa “inclusione digitale” di cittadini e microimprese sinora svantaggiati dalla localizzazione. Il 5G occuperà un ruolo sempre più centrale nello sviluppo dello smart working, eliminando progressivamente la differenza tra l’essere collegati in rete all’interno di uno specifico ambiente o fuori ufficio, in movimento. Inoltre, fornendo alle aziende servizi di connettività mobile ultraveloce e capillare, diventerà il catalizzatore dei processi di innovazione basati sull’estensione del dialogo uomo-macchine-oggetti connessi e sulla capacità di elaborare dati da molteplici fonti e device distribuiti sul territorio».

Se la storia può insegnarci qualcosa, occorre ricordare tutte le perplessità che si ebbero, anche sul versante di nuove skills da acquisire, nel nostro paese con l’avvento della Radio, del Telefono poi della Televisione ed infine con Internet, passando da slanci entusiastici a risvolti mefistofelici. Cambiare è un atto che, naturalmente provoca ansia e, senza scendere in paradigmi dotti, posso riferirmi in questo caso ad un detto popolare che recita: “Chi lascia la via vecchia per la via nuova, sa quel che perde e non sa quel che trova”. Nell’estremo, questo detto è il detto della conservazione, ma ogni cambiamento proposto, se accompagnato da un approfondimento, atto anche a sedare l’ansia, si volge verso il conseguimento di un maggior benessere.

Seguendo il paradigma di Luhmann, i sistemi sono costruiti sulla comunicazione e, se cambiano i mezzi del comunicare, pure i sistemi, nella loro autoreferenzialità mutano e cambiano forma acquisendo nuove funzioni. Ciò ovviamente ci apre a nuovi scenari, sia sul versante della formazione che sul versante di nuove skills da acquisire. L’ambito lavorativo può divenire più funzionale allo scopo spingendo il sistema ad acclarare ogni obiettivo. La velocizzazione sistemica, indotta dai nuovi mezzi, se ben gestita, dovrebbe essere volta ad una migliore organizzazione del tempo e del tempo libero, cambiando pure il quotidiano vivere proponendoci, dall’Ambiente, altri sistemi psichici. Chiaramente, questa dissertazione non intende in alcun modo allentare la presa sui rapporti face-to-face, di sicuro interesse per una sociologia qualitativa e per questo necessitante di una narrazione, quanto invece proporre uno sguardo ad un percorso, anche formativo, verso i nuovi orizzonti cui si inizia a volgere il sistema sociale in un’Era che da tempo si è fatta, Era del ben-essere immateriale.

 


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