Pannelli Sociali

Per una sociologia agita ed agente

Pane al Pane. Il Pane nella tradizione rurale

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IL PANE

Pane, ti spezzan gli umili ogni giorno,
lieti se già non manchi alla dispensa.
A lor quale più sacra ricompensa
Di te, che giungi fervido dal forno?

Come biondeggi al desco disadorno,
così tra vasi d’oro; in te si addensa
ogni ricchezza, e la più bella mensa
di tua ruvida veste non ha scorno.

Figlio del sole, tu ne porti un raggio
in ogni casa, e a chi di te procaccia
onestamente, illumini la fronte.

Ma più risplendi, quando nel viaggio,
stanco, il mendico dalla sua bisaccia
ti trae, sedendo al margine di un fonte.

(Francesco Pastonchi)

 

Ricordo questa bella poesia di Pastonchi che, ai tempi delle elementari, il maestro ci faceva imparare a memoria. Il pane, il provvidenziale pane “benedetto” che veniva posto sulla tavola imbandita annunciato dal suo sublime profumo. Il pane non veniva mai buttato e se cadevano molliche a terra, nella cultura rurale le molliche si baciavano. Mai poi mettere il pane rovesciato, era peccato. Ricordo che mia nonna mi diceva che, così facendo..”si pestavano le vesti alla madonna”. Negli effetti, “L’origine di questa usanza è legata alla presenza dei boia che, nell’Italia del 1300, avevano difficoltà a trovare in vendita il pane perché si riteneva portassero sfortuna. Quando i panettieri furono obbligati, per editto reale, a ricompensare i boia per il loro lavoro, iniziarono a servire loro le pagnotte rovesciate, per esprimere disprezzo e rendere immediatamente riconoscibile il pane a loro riservato.” Poi, con l’avvento della società industriale, si è passati dalla gastro-nomia alla gastro-anomia. Hanno preso piede le prassi del “mordi e fuggi”. La tavola imbandita, che un tempo assegnava posti ben definiti, ad iniziare dal posto del capotavola, si è fatta essa stessa anomica, priva di regole, descrivendo così la trasformazione della società stessa attraverso una sua propria semiotica. Forse per molti oggi, nei tempi dell’usa e getta, questa poesia vuol dire poco o nulla. Ma per chi, come me ha vissuto quei tempi, questa poesia ha anche la forza evocativa del far riflettere che, nel gettare abbiamo rigettato noi stessi che, ricordiamolo, siamo quello che mangiamo.


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