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GLI ANZIANI ED IL DISORIENTAMENTO SPAZIO/TEMPORALE (Mirco Marchetti)

“Quando nell’amore domando uno sguardo, quel che c’è di radicalmente insoddisfacente e di sempre mancato è che tu non mi guardi là da dove ti vedo.” (Lacan)

Quante volte entrando in una Casa di Riposo o in un’abitazione abbiamo avuto modo di guardare quei vecchi con lo sguardo spento perso in un punto lontano, magari seduti su di una sedia a rotelle con le braccia conserte, quanti hanno guardato! Ma pochi hanno invero visto.

Il guardare infatti ci rimanda ad un atto esplorativo della superficie, il vedere invece ci consente un conoscere più profondo, un vedere dentro che richiede la messa in causa di noi stessi, un rapporto empatico volto alla ricerca ed alla comprensione di un bisogno per cui spesso l’anziano non trova parole. Ed ecco che, seppur circondato da molte persone che lo guardano, egli si sente solo perché i tanti non lo vedono.

Gli anziani, e soprattutto gli anziani disorientati, chiedono calore, affetto, rispetto e comprensione per i propri sentimenti. Se vengono negati loro questi sentimenti, se viene loro a mancare un rapporto umano, se non vengono ascoltati o peggio, ignorati, essi si incamminano lungo la strada del disorientamento chiudendosi sempre più in loro stessi, rifugiandosi in un muto dolore. “Quando il linguaggio viene a mancare – scrive Naomi Feil – le persone molto anziane e disorientate comunicano con i movimenti del corpo appresi durante le fasi iniziali della vita.” Quando gli organi sensoriali non sono più funzionali essi odono gli echi del passato. Hanno spesso bisogno di tornare a risolvere compiti non portati a termine, un lutto non elaborato al momento dovuto, un senso di colpa ignorato, un’occasione perduta per una vita troppo fugace o condizionata da rigidi dettami morali. Ecco, ora hanno il tempo per farlo, ma hanno bisogno di qualcuno che li comprenda e che li aiuti in questo compito. E’ l’età delle risoluzioni, è il momento in cui la pressione dei sentimenti incalzata dal tempo fa tracimare le emozioni. Essi esprimono loro stessi senza inibizioni, senza condizionamenti di sorta, liberamente. L’anziano disorientato non è un bambino, è un uomo che ha vissuto tutta la sua esperienza ed ora cerca di ritornare in quei luoghi per prendersi cura di quelle ferite che non ha saputo o non ha voluto medicare a tempo dovuto. Non accetterà mai che un ragazzo si rivolga a lui nei termini in cui ci si rivolge ad un bambino capriccioso, non accetterà mai che ci si rivolga a lui nei termini: “Questo non si fa”, “Questo non si dice”. Accetterà invece, e gioirà della presenza di una persona che lo aiuti, comprendendolo, nello spremere fuori, quindi nel dar espressione a questi sentimenti incalzanti e spesso dolorosi. Solo alla luce del sole essi perderanno consistenza e tenderanno a dissolversi.

Naomi Feil, nell’arco della sua esperienza con gli anziani disorientati, si accorse che il più delle volte era inutile se non controproducente tentare di ricondurre queste persone ad una realtà che, vuoi per svariate disfunzioni fisiche, vuoi per handicap di ordine cognitivo, sentono distante fino a divenire ostile. Questa visione realistica dell’essere anziano tra l’altro limita il logoramento dell’operatore che non è costretto a forzare la visione ad una realtà che l’anziano ha rifiutato, piuttosto tende ad uniformarsi alle esigenze che sotto differenti forme l’anziano manifesta.

Va rimarcato che, essendo le principali funzioni cognitive non più funzionali, non essendo più in grado di categorizzare, essi non sono più nemmeno in grado di introspezione, di autoriflessione. La memoria a breve termine, la memoria lavoro svanisce, sicché tornano ai tempi in cui erano “qualcuno”, ed attraverso movimenti familiari cercano di rendere intelliggibile la loro identità. Cosi, il movimento del polso fatto in un certo modo, farà ad esempio scattare automaticamente in un vecchio falegname il movimento compiuto per anni dallo stesso nel momento in cui con un martello inchiodava due tavole. Il movimento del piede riattualizzerà in una sarta il movimento compiuto per anni in una macchina da cucire, e cosi via. Scrive ancora la Feil: “I vecchi esprimono tre bisogni umani fondamentali. 1) essere protetti e amati; 2) essere utili e produttivi; 3) manifestare le emozioni naturali. Ma non esprimono più questi bisogni alle persone in termini di <<qui e subito>>. Le loro comunicazioni avvengono con le persone e gli oggetti che fanno parte del passato. Come sottolinea Marcello Cesa-Bianchi: “Le esperienze individuali facilitano per altro la conservazione di determinati processi a danno di altri; esse operano attraverso il mantenimento dei processi più utilizzati nel corso della vita e il decadimento di quelli meno utilizzati.” Da questo si desume che, l’ambiente socio culturale e quello lavorativo determineranno in maniera rilevante la funzionalità di alcuni processi su altri.

Chiunque, dai famigliari agli operatori che operano a stretto contatto con queste persone, deve conoscerne profondamente i bisogni individuali, usare l’empatia, il rispetto, il calore, la comprensione. Rispettarne l’individualità in quanto gli anziani, raggiunta una certa età rispondono in maniera estremamente differenziata allo schiacciante peso delle perdite subite durante l’arco della vita. L’ansia, la paura di non essere compreso, possono ingenerare aggressività, panico, vagabondeggio, depressione, collera. Per aiutarci ad un approccio empatico la Feil ci fa l’esempio di chi, guidando, all’improvviso si trova la visuale sulla strada occlusa da un banco di nebbia. Ecco chi ha provato questa sorta di smarrimento riesce a capire cosa significhi per queste persone lo smarrimento spaziale. Comprendiamo allora che, se vicino abbiamo una persona che ci rassicura e ci conforta con la sua presenza noi possiamo, con il loro aiuto, continuare il cammino.

Ed ecco quindi che diviene fondamentale l’aspetto caratteriale dell’operatore che, deve conoscere i propri limiti, deve godere di una certa integrità, deve sapersi mettere in gioco ed in discussione, deve saper comunicare chiaramente, deve saper controllare le emozioni, non deve esprimere giudizi e deve rispettare la saggezza dell’anziano, non deve mai imporsi alla persona anziana cercano di convincerla del presente. L’anziano, seppur disorientato, riesce a cogliere le finzioni. Ecco dunque che all’operatore sarà richiesto di entrare in uno stato fiduciario con l’anziano. L’empatia è il primo passo, osservare l’anziano dunque, osservare i movimenti del corpo, imitarne il respiro cercando di sintonizzare il proprio con quello della persona anziana. E’ importante sedersi di fronte in quanto gli anziani hanno un campo visivo spesso limitato, focalizzato, cercare di imitare la postura è d’aiuto per entrare in un rapporto più intimo e basato sulla fiducia. Tutto questo ci aiuterà ad instaurare un buon rapporto che consenta il riconoscimenti e la “legittimazione” dei sentimenti. E’ ovvio che non tutti riescano ad instaurare un rapporto ottimale che conduca al buon esito, non tutti reagiscono nella direzione della comprensione verso l’anziano, che va rimarcato deve essere in primis visto nella sua individualità e bisogna capire che errare è umano e, l’esperienza mi ha mostrato che gli anziani lo capiscono e riescono a perdonare più facilmente. Scrive Frankl: “La coscienza, comunque, essendo umana, rimane pur sempre contrassegnata dalla finitezza. La possibilità di errare, quindi, ci accompagna costantemente nelle nostre scoperte di significato. E’ questo un limite per noi invalicabile, perché iscritto nella nostra natura. La sua esistenza, tuttavia, non implica soltanto la legittimità del dubbio, ma ci invita anche alla tolleranza ed al rispetto per le altrui scoperte di significato. Esse, infatti, possono scaturire dalla giustezza di coscienze da noi ritenute, a torto, in errore.”

Se saremo in grado di rispettarli, se saremo in grado di dar legittimità ai loro sentimenti, riusciremo ad evidenziare sensibili miglioramento sotto il profilo posturale, ad esempio posizione più eretta, avremo meno crisi di pianto, si attenueranno i movimenti ripetitivi, gli occhi diverranno più aperti, l’aggressività si attenua, aumenterà e sarà più scorrevole la comunicazione verbale e non verbale, aumenteranno i rapporti sociali, si potrà ridurre la somministrazione di psicofarmaci.

(Mirco Marchetti)

Mutuando dal “Metodo Validation” della Psichiatra americana Naomi Feil, andiamo a descrivere le caratteristiche psico-fisiche peculiari di ogni stadio del disorientamento. Occorre comunque rimarcare che è rara la stasi giornaliera in uno dei 4 stadi, mentre l’esperienza mi ha posto all’evidenza di quanto la demenza sia fluttuante. Ad esempio non è raro il caso di anziani orientati il mattino e magari nel tardo pomeriggio valutare il loro aspetto comportamentale ascrivibile ad esempio al “Primo stadio” del disorientamento, o ovviamente il contrario. Dunque oltre ad un dover rimarcare l’aspetto estremamente individuale, occorre anche tenere in considerazione la forma fluttuante che sovente contraddistingue il disorientamento. L’osservazione è sicuramente la prima fase di approccio. Spesso per osservare l’anziano demente senza dover correre il rischio di essere fonte di disturbo stimolante, adotto una sorta di osservazione partecipata, premurandomi di filmare il tutto. In pratica, nei momenti di calma relativa, faccio portare gli anziani disorientati in un salone facendo attenzione a posizionarli in luoghi che il più possibile rispondano alle loro esigenze. Ad esempio una signora ha spesso paura se la si colloca di spalle ad una finestra, in quanto – dice lei – le sembra di poter precipitare all’indietro, quindi cercherò di posizionarla in un luogo che possa darle maggior sicurezza. Ciò mi consente un’osservazione dei soggetti che, poco stimolati da “rumori” ridondanti esterni, possano dare espressione visibile del loro agire e dell’aspetto posturale il più possibile egocentrata. Generalmente quando osservo mi siedo accanto ad uno di loro e, seduto su di una sedia a rotelle assumo la postura e lo sguardo caratteristico di alcuni di loro. E’ sorprendente notare che, se stessi in piedi in mezzo a loro essi mi investirebbero di richieste specifiche, mentre quando mi colloco in un contesto a loro simile, spesso vengo guardato ma il loro sguardo si fa fugace, ed è come se non mi riconoscessero quale “altro”, o meglio è come se mi ritenessero uno di loro. In questo modo ho l’occasione di osservarli mentre monologano (cosa assai frequente per altro) o quando cominciano ad intavolare brevi diverbi dovuti ad incomprensioni perché ognuno esprime un mondo che l’altro non può comprendere. Quindi i processi linguistici sono il più delle volte autoreferenziali.

PRIMO STADIO: DISTURBI ALL’ORIENTAMENTO Tratto da “Il Metodo Validation” di Naomi FeilCaratteristiche fisiche dei disturbi all’orientamento:

1) Sguardo limpido e focalizzato
2) Posizione rigida
3) Movimenti nello spazio definiti, prolungati, precisi
4) Muscoli della faccia e del corpo saldi
5) Mascella spesso protusa
6) Dita e mani spesso puntate, braccia spesso incrociate
7) Labbra serrate
8) Respirazione poco profonda
9) Tono della voce chiaro, rauco lamentoso o stridulo
10) Spesso afferra un cappotto un bastone o una borsetta
11) Le funzioni intellettuali sono relativamente integre, può ad esempio classificare e avere un relativo concetto della misura del tempo
12) Usa le parole del dizionario
13) Ha ancora una limitata riduzione delle capacità sensoriali

Caratteristiche psicologiche dei disturbi all’orientamento:

1)Esprimono le emozioni represse
2)Si mantengono nella realtà presente
3)Vogliono capire ed essere capiti
4)Agiscono ancora secondo le regole
5)Sono consapevoli di occasionali stati confusionali
6)Negano gli stati confusionali e per nascondere le loro “mancanze” attribuiscono ad altri alcune colpe.
7)Resistono ai cambiamenti
8)Negano i sentimenti (solitudine, smarrimento, rabbia, paura e il desiderio sessuale)
9)Solitamente accusano chi li accudisce, di aver rubato loro qualche cosa ad esempio, questo per giustificare le perdite significative avute
10)Vogliono che i sentimenti che provano vengano legittimati da chi sta loro attorno
11)Sono infastiditi da chi non usa l’autocontrollo, e non accettano spesso la demenza altrui
12)Sovente non sopportano il contatto e si adirano se si cerca con loro l’intimità avendo paura che sia visibile la loro vulnerabilità
13)Spesso la prossemica di queste persone è descritta in un cerchio di 50 centimetri.  

SECONDO STADIO: CONFUSIONE TEMPORALE

Le persone che si trovano in questo stadio vedono compromesse le principali funzioni sensoriali. Non riuscendo più quindi a vedere bene nè a sentire, essi si immergono in loro stessi correndo dietro alla memoria, rievocando attraverso i simboli ed i miti antiche sensazioni passate. Riattualizzano sentimenti di levatura universale quali, amore, odio, paura della separazione, lotta per l’identità. Per far fronte all’incalzare di questi sentimenti egli potrebbe essere indotto ad accusare i familiari che potrebbero vedersi costretti a rinchiuderlo in una Casa di Riposo dove vedrebbe sicuramente peggiorare le sue condizioni. Se invece fosse tenuto in casa e fosse possibile la legittimazione di questi sentimenti egli potrebbe se non migliorare non degradare negli altri stadi. 
Caratteristiche fisiche dello stato di confusione temporale:

1)I muscoli sono ipotonici ed i movimenti ridotti e rallentati
2)Lo sguardo è limitato e spesso perso in un punto lontano
3)Il respiro è lento e prolungato
4)I movimenti nello spazio sono lenti e spesso chiedono: “Da che parte?”
5)Il linguaggio non è sciolto e spesso accompagnano il linguaggio verbale con quello gestuale in forma interrogativa
6)Il tono della voce è basso
7)Le spalle tendono a cadere in avanti, il collo è piegato. 

Caratteristiche psicologiche dello stato di confusione temporale

1)Il deterioramento di vista e udito unito ad una compromissione del pensiero logico rendono la realtà offuscata
2)Manifesta emozioni ma non ricorda i fatti
3)Scomparsa del pensiero metaforico
4)Tornano ad una conoscenza intuitiva
5)Comprendono la persona sincera da quella falsa
6)Tornano a percepire sensazioni piacevoli provate durante l’infanzia
7)Non ascoltano le persone nel “qui” ed “ora”
8)Dimenticano il recente, ma sono legati a ricordi lontani connotati di forti sensazioni
9)Incanalano l’energia nella risoluzione di conflitti appartenenti al passato
10)Inventano parole estratte da un vocabolario proprio e personalissimo
11)Spesso nel linguaggio adottano simboli caratteristici, quindi invece di chiedere amore essi domandano cibo
12)Rispondono a sguardi d’intesa riducendo la tensione
13)L’attenzione è limitata
14)Perdono spesso il controllo chiedendo l’immediato soddisfacimento a bisogni istintuali quali il sesso, l’amore e il cibo.   

TERZO STADIO: MOVIMENTI RIPETITIVI

Coloro che non hanno potuto condividere e vedere legittimati i propri sentimenti nel secondo stadio, sono destinati nel tempo a regredire al terzo stadio. Il movimento serve a riattualizzare il tempo in cui erano qualcuno. Il semplice dondolarsi di una persona disorientata su di una sedia a rotelle, può avere la forza evocative del periodo infantile, periodo in cui la madre lo cullava teneramente tra le sue braccia. I movimenti precedono il linguaggio verbale. Lasciano spesso scoccare la lingua lungo il palato solo per il gusto di produrre suoni liberamente. In queste condizioni, un robusto bastone può diventare il padre, una morbida bosetta la madre da accarezzare e cosi via. Altri nei movimenti compulsivi e ripetitivi si riconducono in luoghi e tempi in cui, nell’esercitare certe attività erano qualcuno, vedremo cosi signore ciondolare la mano per dar da mangiare ai polli del pollaio. Ogni gesto assume un senso profondo sotto il profilo identitario, sta a noi coglierne la intelliggibilità.

Caratteristiche fisiche dei movimenti ripetitivi:

1)Dondola o balla
2)Canta usando un vocabolario soggettivo
3)Mormora, fa schioccare la lingua, si lamenta
4)E’ incontinente
5)Gli occhi sono spesso chiusi
6)Piange frequentemente
7)Le dita sono sempre in movimento, abbottonano sbottonano, si tormentano di continuo
8)Passeggia di continuo
9)Ripete di continuo un suono o un movimento
10)La voce è bassa
11)Quando manifesta collera mostra una certa energia fisica
12)Quando cerca di liberarsi della cinta di sicurezza nella seggiola a rotelle diviene ambidestro
13)Riesce a cantare una canzone dall’inizio alla fine   

Caratteristiche psicologiche dei movimenti ripetitivi: 
1)Il continuo movimento fa sentire la persona viva, la libera dalla noia, le conferma di esistere. La persona è spesso afasica 2)Se motivato riesce a recuperare i ruoli sociali fondamentali
3)Perde la coscienza di se stesso e della collocazione del suo corpo nello spazio
4)Spesso non reagisce agli stimoli esterni
5)Può danzare e cantare con energia, che invece sembra non possedere per pensare e conversare
6)Non riesce a concentrarsi su più di una persona o un oggetto per volta
7)Per far in modo che risponda alle stimolazioni è necessario il contatto fisico e/o visivo
8)Risponde all’isolamento con rassegnazione
9)Tenta la risoluzione dei conflitti passati con il movimento
10)Ricorda le esperienze passate
11)Interagisce con gli altri sono in un contesto d’amore e di legittimazione dei sentimenti
12)Vuole l’immediata soddisfazione dei bisogni  

QUARTO STADIO:VITA VEGETATIVA 
Le funzioni sono ridotte ormai al minimo e vi è una quasi totale chiusura al mondo. Una persona che risiede nel terzo stadio, spesso nel momento in cui viene sedata con psicofarmaci, si rinchiude nella vita vegetativa con chiusura alla realtà esterna quasi totale.  

Caratteristiche fisiche dello stadio della vita vegetativa: 
1)Occhi per lo più chiusi, sguardo perso nel vuoto
2)Muscoli atrofici
3)Non riesce ad avere più la percezione del proprio corpo
4)I movimenti sono inesistenti o ridotti al minimo  

Caratteristiche psicologiche dello stadio della vita vegetativa: 
1)Non esprime quasi più alcun tipo di sentimento
2)In maniera ancor più evidente che nello stadio precedente, non riconosce più i parenti più prossimi
3)E’ praticamente inaccessibile all’esterno, non si ha modo di capire se abbia risolto i suoi problemi


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