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L’animazione sociale

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 L’Animazione sociale-professionale

“Un tempo ero un vulcano. Poi, piano piano, quel vulcano si è spento. Ecco.. per riaccenderlo mi servirebbe un animatore.”

 Chiunque abbia in testa un progetto, sappia mettere l’anima in azione ed apportare un cambiamento, chiunque crei contesti e offra opportunità che facilitino le trasformazioni, magari attraverso la creatività che gli è propria, è un Animatore. Il più grande di tutti lo chiamarono “Il Creatore”.

 “L’Animazione sociale-professionale è una pratica sociale indirizzata alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente, di individui, piccoli gruppi e comunità” (G. Contessa).

 In questo, l’Animatore diviene un “facilitatore”, un professionista cioè che accompagna un individuo, un gruppo di persone o una piccola Comunità ad evolvere, operando un cambiamento che consenta di passare da una situazione vissuta come precaria o di disagio vero e proprio, ad una situazione di benessere. Secondo Margherita Sberna, l’Animatore deve “tirar fuori” dalle persone quello che in esse già è, ma che è stato soppresso o mortificato da una serie di pressioni esterne dalle quali è ormai difficile liberarsi da soli. In questo l”animatore viene definito anche come un facilitatore. L’Animatore non deve mai sostituirsi agli altri, deve invece riuscire a portare a coscienza, nell’individuo o nel gruppo, ciò che l’individuo o il gruppo non riescono da soli a tirare fuori. In questo avviene un gioco tra le parti, un gioco in cui soggetto ed oggetto (Animatore ed Utente) si compenetrano e si com-prendono a vicenda. Per il “principio di indeterminazione, l’osservatore nel momento in cui osserva il campo, contemporaneamente nell’atto del guardare, produce in esso un cambiamento ed è dal campo stesso modificato. E’ un po’ ciò che succede al fisico quando illumina, per poterli osservare, dei fotoni con un fascio di luce.

La pratica della Ricerca-Azione, sostiene un po’ questo nel momento in cui si va ad evidenziare che quando ricerco agisco e quando agisco ricerco. In base a questo Margherita Sberna afferma in proposito alla figura dell’Animatore: “Non deve riempire con contenuti suoi le persone come fossero contenitori vuoti. Egli deve sempre ricordare che il rapporto con gli altri arricchisce entrambe le parti. Quindi se è certamente vero che con il suo lavoro egli aiuta gli altri a riscoprirsi e a realizzarsi pienamente, è altrettanto vero che la sua maturazione e crescita personale sono continuamente arricchite dal continuo contatto con gli individui che portano racchiuso in sè un loro patrimonio di conoscenze, esperienze, sentimenti degni di rispetto e di considerazione. Ecco che allora all’Animatore occorrono le seguenti doti: “…l’animatore deve possedere i tre stadi del sapere (conoscenze, informazioni, ecc.), saper fare (possedere tecniche, capacità di agire e fare programmi/progetti), saper essere (capacità di realizzare nella propria vita personale ciò che sa e che sa fare).” (M.Sberna).

 Contesti in cui opera l’animatore.

 Contesti d’uso dell’Animazione sociale-professionale

 L’Animazione mette a disposizione i suoi strumenti in svariati contesti ed opera professionalmente in tutte le situazioni che evidenziano un disagio o esprimono un bisogno, operando con la finalità di ottenere uno stato di benessere adoperando le risorse che quel tipo di utenza possiede anche in forma latente o inespressa, ma giacente in potenza. Il primo passo deve quindi essere indirizzato all’ascolto poiché, rogersianamente, siamo convinti che l’utente sa sempre qualcosa in più di noi. Quindi “far esprimere”, poiché l’Animazione è protesa al “far fare”, nell’accezione in cui far esprimere significa spremere fuori, i bisogni dell’utente e tentare di darne soddisfazione. Il benessere che ricerca l’Animazione è un benessere orientato alla crescita, di gruppo o personale, nell’offerta di opportunità ulteriori che possano gettare le basi per offrire l’opportunità di un cambiamento.

Il cambiamento è quindi una delle prime finalità che l’Animazione persegue; passare da uno stato di insoddisfazione ad un altro di maggior benessere è ciò che chiede l’utente in genere e ciò che l’Animazione tenta di fare. In questo, l’Animazione Professionale ..opera in forma retribuita e secondo un metodo scientifico” (G.Contessa – L’Animazione ed. CSE).

Gli interventi sono rivolti principalmente a singoli, gruppi, organizzazioni e comunità. Un buon Animatore deve pure saper progettare, creare connessioni e sinergie. Deve, in pratica, saper accendere il fuoco che sappia donare energia affinché l’utenza possa riuscire a passare da uno stato ad un altro, nello stesso modo in cui per far passare l’acqua da uno stato liquido ad uno gassoso, occorre la si addizioni di quella giusta energia capace di rompere i vecchi legami tra le molecole passando dopo un periodo di caos ad un altro stato fisico. Metodologie di intervento: la cultura del lavoro per progetti. L’individuazione di differenti contesti di intervento, delle loro caratteristiche e relazioni interne ed esterne (gruppo, gruppi, comunità, territorio-quartiere, territorio-città). L’osservazione e l’analisi dei bisogni e delle risorse. Si può pensare all’animazione come intervento nel territorio, al fine di favorire i processi di crescita della capacità dei singoli e dei gruppi di partecipare e gestire la realtà sociale in cui vivono, avvalendosi, oltre che dell’azione nel territorio, dell’uso dell’azione psicosociale volta a promuovere la capacità espressiva delle persone.L’Animazione svolge quindi la propria attività nei riguardi di persone di diverse età, mediante la formulazione e la attuazione di progetti animativi caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo sociale.

Le varie funzioni dell’animatore sono quindi:

  1.  Funzione di prevenzione delle forme di disagio, devianza e marginalità sociale, nelle situazioni “a rischio”.
  2.  acquisizione di adeguate conoscenze sui fenomeni e condizioni che possono determinare situazioni di disagio concorrendo anche alla formulazione di mappe a rischio;
  3.  instaurazione e mantenimento di adeguati rapporti con gruppi, aggregazioni, comunità, attraverso contatti interpersonali e di gruppo;
  4.  promozione delle risorse e delle attività per prevenire situazioni di rischio, valorizzando modelli di comportamento positivi.
  5.  Funzioni di rafforzamento della personalità, inducendo nell’individuo atteggiamenti positivi verso la vita, verso gli altri aumentando il livello di sicurezza del SE’, stimolando a ricercare e ad acquisire un proprio ruolo.
  6.  attuazione di interventi animativi, a livello individuale e di gruppo, e di stimolo alla crescita personale, all’autonomia ed alla responsabilità individuale e sociale;
  7.  programmazione ed organizzazione dei vari momenti di vita comunitaria e delle attività di gruppo, in rapporto con la famiglia, la scuola, i servizi, le istituzioni, in relazione alle problematiche individuate;
  8.  Funzione abilitativa ed educativa finalizzata a migliorare, esprimere, rendere operanti le potenzialità della persona, nei casi di disabilità psico-fisica e nei casi in cui occorra ricostruire rapporti ed obiettivi di vita.

Abbiamo detto che l’animatore sociale è un professionista ed in quanto tale, al pari di altri professionisti, usa strumenti di lavoro suoi propri. Così come il contadino usa la zappa, l’avvocato il codice civile o penale, il chirurgo il bisturi, parimenti l’animatore professionale userà gli strumenti consoni e specifici di questa professione.

Anzitutto occorre rimarcare che l’animazione è una professione sociale, quindi opera per l’uomo e nel suo contesto. Mira al benessere delle persone incrementandone le possibilità ed attuandone il potenziale. Lavora con individui o aggregati in forma di gruppi, organizzazioni e comunità. Si muove principalmente lungo tre linee direttrici: far fare – far divertire – far esprimere.

L’Animazione professionale opera con rigore scientifico, quindi i suoi risultati devono essere misurabili, comunicabili, replicabili e confutabili.

L’agire dell’azione animativa è incentrato sul cambiamento, sul passaggio di stato, sull’incremento del potere e di opportunità per la persona. Per far ciò si parte dalla verifica e dall’interpretazione dello stato iniziale della persona, affinché la si possa condurre verso uno stato mutato e riscontrabile nei fatti.

Animare significa anche dar anima. Così, come all’acqua occorre fornire l’energia necessaria affinché passi dallo stato liquido a quello gassoso rompendo i vecchi legami molecolari per crearne di nuovi con l’apporto di calore, parimenti l’animatore deve fornire l’energia necessaria affinché le persone, rompendo vecchi legami, possano passare da uno stato di malessere ad uno di benessere.

Gli strumenti dell’animatore sono quindi i più svariati: strumenti di attivazione culturale, ludico-ricreativi, espressivi e legati alla manualità ed alla creatività..

Ciò che è fondamentale l’animatore sappia è che, ogni strumento deve essere legato in maniera pertinente all’obiettivo che si vuol cogliere. Ad esempio, se il chirurgo usasse il bisturi per tagliare il pane, avrebbe usato il mezzo (bisturi) in maniera impropria. Parimenti, se un animatore usasse il gioco con l’obiettivo di far socializzare degli anziani, userebbe in maniera impropria il mezzo in quanto, mentre il gioco è un mezzo socializzante per il bambino, quando ci si rivolge ad una utenza anziana, il gioco diviene un mezzo secondario al raggiungimento dell’obiettivo in quanto, in una utenza anziana, prima occorre con altri mezzi far socializzare l’adulto per poi farlo giocare indirizzandoci verso obiettivi più espressamente ludico-ricreativi.

Il percorso, prima del prodotto, vengono decisi assieme dall’animatore e dalla persona, gruppo o comunità cui l’animazione volge la sua professionalità. Si lavora “per” e “con” l’utenza, mai “su” l’utenza

Fissare degli obiettivi significa dichiarare esplicitamente dove si vuole arrivare, cosa si vuole ottenere, e quali cambiamenti si vogliono mettere in atto in funzione di un obiettivo.

Uno degli errori più comuni che l’animatore (dilettante) commette è quello di scegliere un’attività che non tenga conto degli obiettivi che si intendono raggiungere.

Le attività riguardano tutte le prassi, le azioni da fare, le tecniche da utilizzare, i modi i tempi gli spazi le attrezzature e le risorse da impiegare, per raggiungere gli obiettivi fissati.

Una proposta animativa non è mai generalizzabile in quanto occorre tener presente dei limiti imposti dal contesto, dal committente e dalle competenze dell’animatore.

Occorre aggiungere che l’animatore non impone mai un’attività, ma la propone.

Tra le regole auree dell’animatore vi è il fatto che, nella proposizione di un’attività occorre tentare con modalità differenti per almeno 5 volte, dopo di che si può rinunciare e desistere dalla proposizione.

Errori Animativi

Gli errori animativi che più spesso si presentano sono dovuti al fatto che l’animatore con troppa superficialità sia portato alla soddisfazione del contesto, sia ossessionato dal prodotto. Si prodighi al fare una cosa che piaccia al committente ( il prodotto delle attività deve essere bello, preciso, di successo e che piaccia alla comunità.

L’animatore non riesce ad oltrepassare le abitudini dell’utenza, la ricerca di sicurezza, quindi.. le sue difese.

A questo tipo di errori va aggiunta, l’incompetenza dell’animatore.

Tecniche ed attività

Tutte le attività e tutte le tecniche hanno specifici effetti e favoriscono alcuni risultati a discapito di altri.

Ad esempio, le tecniche teatrali hanno una valenza espressiva ma mettono gli obiettivi di socialità in secondo piano.

Le feste favoriscono l’aggregazione e il divertimento, ma solo casualmente facilitano la sensibilizzazione.

Le attività manuali possono sviluppare la creatività, ma solo a patto che siano poco strutturate.

Il lavoro di gruppo può promuovere la socialità ma, se non condotto con cognizione di causa, può pure inibirla.

Si comprende dunque che l’animatore deve compiere scientemente delle scelte nei mezzi usati in funzione degli obiettivi da cogliere.

Se ci si pone come obiettivo la socialità, la tecnica che l’animatore dovrà usare dovrà favorire lo scambio, la comunicazione, la conversazione e la relazione. Se invece l’obiettivo è la creatività o la espressività, tutte le attività che pongono al centro la relazione divengono accessorie e superflue.

Tra le regole dell’animazione vi è quella di non far mai qualcosa che si può “far fare” all’utente da solo. E mai fare da soli ciò che si può fare assieme agli utenti.

Differenti stili di animazione

L’animatore all’interno di un contesto operativo interpreta un ruolo. Ovviamente, a parte le aspettative che i diversi attori in scena nutrono verso la figura professionale, vi è un margine lasciato all’interpretazione che ogni professionista da al ruolo che riveste, e qui parliamo di “stile”. In pratica, a prescindere dal ruolo inserito nel contesto scenografico, per riprendere una metafora teatrale da cui la parola ruolo deriva, si deve pensare che ognuno interpreta quel dato ruolo assecondando uno stile che gli è proprio entro un certo limite e margine d’azione.

Stili di animazione

Il verbo che connatura l’animatore è “ducere”, ma non nell’accezione del comandare, quanto del “tirare verso”. In questa accezione all’animatore corrisponde il sostantivo “duttore” al quale, nella specificità dei suffissi che si possono accostare, come bene spiega Guido Contessa in “L’animazione” (manuale per animatori professionali) edito CittàStudiEdizioni, vanno aggiunti, nella varianza stilistica i seguenti suffissi:

in-duttore, con-duttore, tra-duttore, ab-duttore, se-duttore, de-duttore, pro-duttore

Diciamo dunque che l’animatore, a seconda dei contesti ma anche a seconda della sua particolare indole, verrà ad assumere il ruolo interpretandolo con lo stile che più gli è consono.

Mirco Marchetti

 

Il dilemma del prigioniero

<<A tutti è capitato, e in genere accade spesso, di trovarsi di fronte ad un dilemma: una di quelle situazioni apparentemente insolubili in cui qualsiasi strategia ha i suoi pro e i suoi contro.

In questi casi qual è la cosa migliore da fare? Analizzare le possibilità e optare per la scelta che consenta di correre i minori rischi possibili e, allo stesso tempo, di garantire il risultato più alto. Il che spesso significa non ottenere il risultato migliore in assoluto, ma il migliore tra quelli che permettono di limitare i rischi.

Ma la maggior parte delle volte la partita è infinita, o perlomeno è finita tanto quanto lo può essere un essere umano. E allora il gioco si complica: le manches sono molte, ma a tutti non interessa vincere la battaglia, ma la guerra.

Può trattarsi davvero di una guerra dei nostri tempi o di una coppia di virus dispettosi o di una spericolata corsa in auto il sabato sera o di qualunque rapporto tra due persone.

Sì, perché il dilemma del prigioniero è tutto questo.

La chiave di volta “razionale” per risolvere tutti i dilemmi.

Che spesso nasconde una certa dose di “irrazionalità”…>>

Il dilemma del prigioniero

 


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