Pannelli Sociali

Per una sociologia agita ed agente

Etnometodologia

Social

‘Etnometodologia’,

nota introduttiva di Barbara Sena

L’approccio sociologico americano conosciuto col nome di etnometodologia, è stato per anni una sorta di tabù per la sociologia italiana. Pochi, infatti, sono stati gli studiosi italiani che hanno tentato di interpretare i suoi principi teorici, con grandi sforzi, peraltro, nel delinearne chiaramente le modalità di applicazione nello studio di contesti empirici concreti. Una prima difficoltà si è riscontrata sicuramente a causa del linguaggio ostico e qualche volta oscuro delle sue opere fondamentali. Una seconda, probabilmente diretta conseguenza della prima, è dipesa dalle aspre critiche che l’establishment sociologico americano ha rivolto all’etnometodologia, considerata per molti anni una sorta di movimento settario della sociologia. La gran parte di questi problemi, tuttavia, sono stati accentuati dall’atteggiamento schivo, ironico e polemico nei confronti della sociologia istituzionale tenuto per anni dal padre fondatore, nonché figura centrale del movimento: Harold Garfinkel.

Tra questi vanno ricordati in particolare Pier Paolo Giglioli, Alessandro Dal Lago e, negli ultimi anni, Giolo Fele e Lucia Ruggerone. Ci si riferisce, in particolare, alle critiche di Coser (1975), Gellner (1975) e Wallace (1968). In verità, Garfinkel ironizza molto su questa sua paternità, sostenendo di aver generato una «compagnia di bastardi» e «geni» (Garfinkel, 1988, 1991), riferendosi con ciò al fatto che ha sempre lasciato i suoi studenti e collaboratori liberi di seguire le proprie strade e le proprie personali interpretazioni su che cosa fosse l’etnometodologia e su come fare indagini empiriche.

 

Alcune Definizioni

Etnometodologia è un “ramo della microsociologia che studia i processi del ragionamento pratico, le manifestazioni ricorrenti e tangibili del senso comune, i metodi che gli individui elaborano e mettono in atto per realizare i compiti più minuti e banali, anche se svolgono un lavoro specifico” (L. Gallino)

 Altra definizione che ne viene data: “L’Etnometodologia è lo studio delle regole di base che disciplinano i rapporti quotidiani tra le persone” (N. Smelser)

 

ACCOUNT, INDICALITA’, RIFLESSIVITA’

L’account è un termine introdotto dall’etnometodologia di Garfinkel. Gli accounts sono quelle attività attraverso le quali gli individui riproducono il mondo, pratiche che formano i significati e contengono al loro interno le procedure stesse per interpretarli e spiegarli. Gli accounts sono, dunque, le pratiche centrali per quell’agire argomentale con cui si dà senso al mondo. La funzione degli accounts è quella di riprodurre e spiegare la realtà così com’è condivisa, come non problematica, come familiare e di intervenire con nuovi accounts qualora questa ordinarietà venga rotta attraverso la produzione di azioni che non corrispondono a nessuna etichetta di spiegazione.

 La realtà sociale e la sua costruzione si basa così sulla condivisione di queste pratiche per le quali gli individui si ritengono abbastanza competenti da riprodurli. Poiché esito dell’azione argomentazione la realtà sociale ha carattere fragile: infatti, gli accounts, e quindi l’interpretazione, sono caratterizzati dall’indicalità e dalla riflessività.

In breve ogni account ha una natura indicale ossia per essere compreso deve essere considerato nel suo contesto più ampio. Il riferirsi ad un contesto più ampio richiederebbe nuovi accounts e quindi nuovi contesti di riferimento. Si entra così in un circolo di spiegazioni per cui il senso diventerebbe la continua produzione di accounts. Invece nella realtà sociale non si è interessati ad un’oggettiva conoscenza, tra l’altro impossibile da raggiungere, ma ad un “capirsi abbastanza” sufficiente per l’agire. L’account, quindi, è compreso sì entro un contesto più ampio che però non viene indagato, viene dato per scontato, come tacito ed implicito. Anzi, per Garfinkel la capacità di evitare la natura indicale degli accounts sta alla base della comprensione reciproca, così che la possibilità di intendere significati condivisi si fonda su un grande vuoto, sul rischio continuo di miss understandig. Molte sono le pratiche messe in atto per far ricadere la naturale indicale degli acconuts entro questo non detto.

Infine, la riflessività significa che la comprensione dell’account richiede una pre-conoscenza dell’account stesso; producendo l’account riproduco la realtà e quindi l’account come pratica diviene l’esempio di ciò che si considera si voglia indicare. In altre parole, un account non ha un significato oggettivo, ma deve essere sempre riferito a se stesso. La riflessività fa sì che gli individui considerino oggettiva l’ordinarietà delle cose, rendendo la costruzione sociale della realtà ordinaria come “naturale” e cancellando al contempo la consapevolezza di questo processo. Nell’etnometodologia di Garfinkel con il termine indicalità (indexicality) ci si riferisce ad una delle due caratteristiche della realtà sociale (l’altra è la riflessività) che la rendono fragile e non comprensibile oggettivamente, fondata su pratiche che fornendo significati e spiegazioni (account able) ne permettono il fluire senza rimetterlo continuamente in discussione. L’indicalità è la proprietà delle pratiche (account), sia verbali sia legate alla prassi, per la quale gli account non possono essere compresi se non in riferimento ad un contesto particolare. Ciò significa che, per Garfinkel, non esiste un significato oggettivo nel linguaggio o nei gesti, ma un significato che è dato dal rapporto tra l’account e il contesto (alzare il braccio è una pratica che fornisce diverse spiegazioni di sé e della realtà a seconda del contesto in cui viene effettuato). Inoltre, i sensi che gli attori attribuiscono all’account non coincidono necessariamente in quanto non vi è necessità di accordo completo, ma è sufficiente una comprensione seppur minima che permetta l’azione. Il senso dunque dell”account sta nel suo fare-argomentare, nel suo fare-interpretare, nel fornire una spiegazione e non nell’oggetto dell’account (il senso di alzare il braccio non sta nel braccio o nel gesto ma nel rapporto tra il gesto e il contesto che spiega la situazione e porta ad un’azione successiva, ad esempio come intervenire in aula o esprimere la propria appartenenza). Inteso questo, dunque un account è indicale perché prende senso non nell’oggetto della pratica, ma per la sua capacità di contestualizzarsi entro un contesto più ampio e fornirne la stessa spiegazione. Non sta così nella parola o nell’azione, ma nella parola o nell’azione che narra e si narra, argomenta e si argomenta in relazione al contesto e all’interno del contesto stesso. Ciò significa che il significato dell’account è sempre rimandato a qualcosa d’altro, come in un vocabolario il significato di una parola è sempre rimandato ad altre parole, così all’infinito. Proprio questa continua necessità di rimandare ad altri significati per comprendere il senso completo dell’account, come in un gioco di scatole cinesi, rende l’accordo tra gli individui sulla realtà e sulla sua comprensione come qualcosa di instabile, mai indagato o perfettamente raggiunto, poiché ci si scontrerebbe con il grande vuoto dell’indicalità (e dei suoi rimandi, come il famoso gioco del “perché” dei bambini ci mostra ogni volta) e della soggettività dell”intepretazione. Ecco allora perchè, secondo Garfinkel, la comprensione è sempre fondata sul non detto, sul dato per scontato, finché permette agli individui di compiere le proprie azioni. Al fine: Secondo i presupposti dell’indicalità e della riflessività, i membri di un gruppo etnico mentre agiscono danno senso a quello che fanno, cioè lo spiegano; il senso del loro agire è l”azione stessa.


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